La perfezione di uno spirito sottile per flauto, voce e percussioni aeree |
Dedication: | a Luigi Nono | |
Lyrics: | testo tratto da una lamella d'oro di Eleuterna | |
Instruments: | soprano, flauto, percussioni (un esecutore) | |
Composition year: | 1985 | |
(c): | Ricordi 1985 | |
Catalogue number: | 134125 | |
Manuscripts and printed documents kept at the Paul Sacher Foundation in Basel> | ||
Manuscripts kept at the Archivio Storico Ricordi in Milan | ||
First performance: | 12.08.1985 [senza percussioni], Pantelleria, Festival di Pantelleria, Musica per la pace. Le giornate del vento - Daisy Lumini soprano, Roberto Fabbriciani flauto
07.1986 [integrale], Lago Trasimeno - Sonia Turchetta soprano, Roberto Fabbriciani flauto, Maurizio Ben Omar campanelle |
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Duration: | 40' | |
1.
Alcuni luoghi mentali affiorano appena dietro le fenditure della coscienza, ma ci accompagnano e rintoccano silenziosi per tutta la vita. H mare forse in me non è sopito. Ancora adesso sui dolci colli di una regione interna, la notte mi sorprende: dinanzi agli occhi si formano le luci della costa, lungo una valle indico agli amici le barche uscite altrove a pescare nel golfo. Qui non c'è mare - certe sensazioni non si raccontano: soffocata ogni risonanza. Eppure nella mia essenza di creatura doppia, nata su un'isola, io sento da una parte il mare, anche a distanza infinita. Altre sere una luce di smalto quando trasfigura i muri in altri muri, lo sento vicino, il mare, io so le gru dei cantieri e dov'è il porto.
Talvolta le cose abituali divengono eloquenti più che se all'improvviso apparissero capovolte. Possiamo essere scopritori di arcipelaghi, o aver viaggiato a lungo sulle navi dell'aria. Puntualmente, quando ci lasciamo un'isola alle spalle, la terra separata da se stessa mostra l'aspetto folle e spettrale di un oggetto galleggiante. Vi sono immagini impossibili a disunire. Così è dell'isola e del vento.
Certi luoghi poi, come palcoscenici vuoti, attendono da sempre, li visitiamo saturi di presenze - l'anima e il vento erano per gli antichi una sola parola. E siccome la musica, quella divina, svela l'invisibile, essa ama e ricerca queste solitudini dove nessuna vibrazione è perduta. Non esiste silenzio, su un'isola. Tutte le voci (nel tempo, nella lontananza) vi hanno fatto il nido. La prima esecuzione avvenne di luna nuova.
V'è nell'isola Pantelleria un lago salato chiamato Specchio di Venere, ed è come l'occhio dell'isola, il cui nome vuol dire Figlia del Vento. Su quelle rive la voce e il flauto furono molto amplificati, però senza che alcun suono giungesse alle orecchie direttamente. Gli altoparlanti relativi alla voce erano volti verso l'altra sponda, contro una montagna scoscesa: ne veniva un'eco sfocata, e un'epifania, che sospendeva magicamente insieme tutte le risonanze del canto. Con pari accorgimento il flauto riverberava dietro il pubblico, su un anfiteatro di rocce, un'eco nitida, aggressiva, atta alla sua natura panica. Infatti l'ombra della voce diviene a tratti interlocutore ferino.
Sulla riva opposta brillava una breve striscia di sabbia.
Da lì un gigantesco sbaffo di luce fredda, mostruoso occhio di gatto, e sfumava diagonalmente sulla montagna. Dopo avere scoperto, alla sua base, una piccola costruzione bianca, cubica, senza finestre.
Se non calava la brezza sulla superficie dell'acqua era cancellato ogni riflesso, la visione come sospesa nel vuoto più assoluto. Certo la forza di quest'immagine molto doveva alla qualità del nero, e l'indivisibile faro antiaereo sondava realmente il fondo delle antiche notti.
Con due fonti di luce sarebbe stata mia intenzione creare solo un orizzonte accecante sul lago. Ma la mancanza di tempo è nemica ai desideri, almeno di quelli che esigono qualche coincidenza preparata.
La coppia degli esecutori, da un lato, completava l'immagine. Girati di spalle, lei lunare, accovacciata - il concertista in piedi, fissi mirando l'altra riva, quasi dovessero raggiungerla attraverso l'oscurità o ne fossero appena sbarcati, irreparabilmente.
Necessario di giorno creare un'isola nella pianura. Cioè che si rifranga in un punto la sua sconfinata orizzontalità.
Geometrie titaniche dunque, emerse allo spazio o sprofondate dal cielo.
Oppure un miraggio: immaginare che l'orizzonte si moltiplichi a vari livelli, che l'erba di primavera o i campi ingialliti dall'estate crescano inaspettatamente sopra grandi impalcature, una combinazione di quanto di più organico vi sia e di più astratto.
Le nere colonne degli altoparlanti delimitano un gran vuoto, perché sia un luogo templare della rappresentazione privo di riferimenti a dimensioni precise, cui gli aquiloni dal fondo renderanno l'illusione di esili steli.
Creature consacrate alla voce e al vento: una figura bianca, un flautista in frac, un percussionista, a parte. Tutti la fronte inghirlandata. Intorno, superfici specchianti.
La cantante compirà velata i suoi riti con ciotoli e conchiglie, tracciando visibilmente sul piano segni primari, piccoli focolari dove brucia le essenze.
Ma al momento del travaglio il fuoco è spento. Allora i gridi degli uccelli notturni intravisti nella luce sono ancora più terribili. Parrebbe celebrare il silenzio, eppure ogni aquilone vibra, ha di per sé una voce. E il suo filo si tende, ronza come la corda di un liuto senza misura. Forse per ciò fu veicolo fra il nostro e il mondo degli spiriti.
Nella sua precaria sfida al vento, dicono che il primo aquilone fosse per recare alle divinità il suo carico di suono.
Chi non ha visto un raduno di aquiloni non ha l'idea di ciò che anima il cielo. Dalle geometrie pure ai velieri, agli animali, mitici e casalinghi, agli oggetti. Insomma non solo tutto il possibile di forme, ma pure il reale quotidiano viene sospeso e invade lo spazio delle nuvole.
E giunge il momento in cui tra canto e flauto esala il dialogo. Altri aquiloni si levano carichi di campanelle, più vicini infittiscono l'aria. Il percussionista da altri tenui strumenti echeggia ed invita quella inaudita tessitura.
Disegnare il cielo. Anche la musica è emanazione e ornamento del silenzio. Le mie iniziali, mi disse un saggio, rammentano sul foglio la coda degli aquiloni antichi, giunta per la via degli ideogrammi.
Il testo canta la tradizione d'Orfeo, il viaggio che a noi assottiglia il soggettivo e lo dissolve. Al termine di ogni ciclo l'anima giunge presso due fonti, presso un cipresso bianco, certo la polvere di una strada assai frequentata, o il chiarore di una luce inversa (ricordate la luna di Lohengrin?). Ivi la memoria e l'acqua dell'oblio ci guatano. Entrambe dissetano, ma l'una, che pure è madre delle Muse, di altra sete accende.
Attraverso la coscienza delle vite passate verso la perfezione del nulla, ecco conseguire gli orfici un'impresa che sempre si rinnova: oriente ed occidente, sciolti dai punti cardinali, vengono a toccarsi proprio in ciò che più li fa diversi.
Ardo di sete e muoio. Ma bevi alla fonte perenne lì a destra del cipresso. Chi sei? e donde vieni? Della Terra son figlio/a e del cielo stellante.
Promemoria a un dialogo rituale, quando l'anima incontrerà il genio, lui che è guardiano delle fonti di là, tale viatico veniva inciso su laminette d'oro. Quelle a cui si è attinto furono trovate presso Eleuterna a Creta.
Ma cosa vorrà dire questa frenesia di campanelli, vellicare il cielo affi-dando al vento infinitesime schegge di suono?
Stiamo trattenendo lontani gli spiriti - nell'era atomica sono smisurata-mente cresciuti. Flebile protesta volta al futuro, se mai lo lasceremo emergere sino a noi. Se poi cerchiamo sui testi sacri, il campanello è il fulmine.
E questo finale non altro che una rappresentazione apotropaica: pensate a un'insistente pioggia di fuoco.
La nostra società illude e gonfia d'individualismo le masse, e glissa sulla morte. Cerimonie sbrigative hanno progressivamente occultato qualsiasi rituale di seppellimento. Il corpo viene semplicemente "fatto sparire". Le città dei morti sono sempre più lontane e separate dagli uomini.
Una sola paura sembra frangere di nuovo il soggettivo: quella di un immane sterminio senza volto. Il fraseggio di questa musica è solenne, innalzato come sugli echi delle montagne più desolate.
(Nei giorni della nube, 1986)
2. Nota alla partitura
Quest'opera nasce come rituale di musica, per eseguirsi all'aperto, presso strapiombi, scogliere, rocce curiose, o su sconfinati altopiani - ma pure, al chiuso, contro una semplice parete bianca.
Caos tellurico per scenario; altrimenti l'orizzonte, una linea mentale.
Gli dei sono caduti e noi non crediamo più alla magia. Tuttavia ancora oggi percepiamo arcane certe solitudini. Affidandoci al vento possiamo scoprire qualcosa che accomuna tutti questi luoghi, sebbene diversissimi. Un tratto segreto e ideale per il teatro: lo spazio che si manifesta allo stato puro. E nel visitatore si riproduce una condizione primaria, contraddittoria, panica. Lo smarrirsi delle dimensioni umane.
Rituale di musica.
Una musica che non vuole semplicemente accompagnare dei gesti, bensì esserne centro e motivo di aggregazione. Già le azioni necessarie agli esecutori per suonare (e i minimi movimenti che le contornano) diventano teatro, se isolate allo sguardo o messe opportunamente in luce. Chi poi cer-casse di configurare un rituale vero e proprio, immagini un'azione prima e dopo il seppellimento. Poveri gli oggetti, e non tanti. Ma significativi, che parlino essi: una ghirlanda abbandonata, focolari e cenere, ciottoli.
Un rituale anche processionale, se si vuole, prosciugato da ogni retorica coreografica con un gestire scarno. Poiché ai riti del congedo, si giunge e si riparte, non ci si sofferma. Non bisogna aggiungere altre figure ai musicisti. I quali forse non sono abbastanza attori; sono in compenso così chiusi nella completezza della loro musica. Che meglio potrebbero?
È implicita al testo una natura dialogica che la musica coglie e moltiplica dentro di sé. Questo, ancora, potrebbe farsi traccia di un'eventuale drammaturgia. Il segno del vestiario? Deciso, di culture ed epoche dissociate. Ulteriori istruzioni l'autore non ritiene di scrivere.
Come per Vanitas, Lohengrin e altre esperienze teatrali, rivolgetevi a lui, o ai testi che ha sparso sull'argomento. Da questi è possibile attingere notizie utili al progetto e sulle realizzazioni passate.
Un'ultima raccomandazione. Si eviti di inscenare uno di quei misteri coi veli, tanto vaghi da sognare in salotto. L'aura pseudo-classicista fu già e già cara ai nostri avi, adesso basta.
Per flauto e voce, soprattutto all'aperto, è d'obbligo un'amplificazione microfonica. Gli altoparlanti non vanno mai puntati direttamente sugli spettatori. Bisogna suscitare gli echi caratteristici del luogo, affinché risuoni come la cavità di uno strumento; sulle piane, mescolarsi nel vento. Che il segnale artificiale torni comunque naturale attraverso lo spazio. Quanto al dosaggio: aggressiva e tagliente la presenza flautistica, riverberata e sfumante, invece, quella della voce. Evitare che tale diversità comporti eccessivi squilibri di volume.
Al fianco dei due interpreti principali è previsto l'intervento di percussioni aeree. Intendo campanelli a batacchio e sonagli (di metallo e varie sorte, anche microscopici) appesi ad aquiloni.
Non valgono prescrizioni di forma, perché gli aquiloni sono sempre assai fantasiosi. Conta piuttosto la loro grandezza, nella visione d'insieme.
Gli aquiloni devono alzarsi in volo più e più al tempo indicato in partitura; un'esecuzione ottimale richiederà quante persone occorrano per adunare uno stormo nutrito. Ne verrà un tintinnio incorporeo e ubiquo, che s'infittisce come nebbia.
In primo piano abbiamo la presenza distinta degli esecutori protagonisti. Essa lascia posto al fondo indifferenziato e continuo dei campanelli volanti.
A collegare i due piani viene inserito un piano intermedio, Appendice alla perfezione, per 14 campanelle da suonarsi con un percussionista. Un simbolo apposito, innesta l'attacco del pezzo sulla partitura generale. Tramite l'omogeneità fisica, questa pagina serve a conferire al continuo degli aquiloni una parvenza di articolazione musicale.
Non semplici i rapporti tra terra e cielo.
Il percussionista dovrà appena distaccarsi dal tintinnio di fondo, per lasciarvisi gradualmente risommergere. D'onde la necessità di un buon numero di aquiloni, di una pioggia davvero assordante di suono, con-centrata alla fine della rappresentazione.
Alcuni aspetti pratici da affrontare, riguardo all'Appendice:
1. scelta, ambito, accordatura degli strumenti sono a cura dell'esecutore. Personalmente preferirei calotte in bronzo, costituendo una gamma la più disparata (come intervalli) e fuori dal temperamento;
2. la conformazione del sostegno. Dipende da tipo, dimensioni, distanza e disposizione delle calotte;
3. posizione delle campanelle. Dati i movimenti di passaggio dal bordo al centro, o viceversa, è evidente che la cavità sia girata in basso;
4. frequenti cambi di bacchetta. Postulano bacchette speciali, da costruire appositamente, ciascuna con più punti percussivi di materiale differente.
Concludendo, nelle versioni da concerto le percussioni aeree verranno tralasciate, e con esse l'Appendice.
(1993)
3. Nota all'incisione discografica
[...] La fisionomia di quest'opera nacque dalla richiesta fatta inizialmente all'autore: doveva essere una musica da associare al volo di aquiloni. Tale destinazione conduceva a riflessioni non ottimistiche sull'ambiente naturale e sulla vocazione dell'uomo all'autodistruzione. Emerse l'idea di riempire l'a¬ria col suono dei campanelli. Era evidente che innalzare aquiloni tintinnanti evocasse fantasiosi scongiuri orientali, non più per propiziare gli antichi spiriti, bensì contro la pioggia di fuoco. Ecco definirsi il progetto di un rituale funebre, di un lamento echeggiante sulle pianure deserte. Ma dagli aquiloni a Cernobyl il passo fu davvero breve, e il tragico evento dell'anno successivo aprì gli occhi di molti sulla reale minaccia di una pioggia di fuoco.
Una trenodia dunque. L'ampiezza della sua durata può apparire poco proporzionata di fronte a un organico di due soli esecutori. Qui però soccorre la ricchezza strumentale e un'articolazione formale in cui il tempo è trattato come una dimensione varia e discontinua. Così dal flauto si può diramare un cosmo di suoni dove vengono a incastonarsi i richiami della voce.
Il testo cantato fu trovato a Creta, inciso su laminette d'oro. Nell'antichità esse dovevano fungere da promemoria al dialogo tra l'anima e il guardiano delle fonti. Parole di passione e di saggezza, del resto già frammentariamente musicate da Nono, forniscono un'indicazione attualissima: scegliere la memoria, e non l'oblio, è strada obbligata per la sopravvivenza della cultura e della nostra stessa vita.
La perfezione di uno spirito sottile porta la dedica a Luigi Nono.
(1994)
SALVATORE SCIARRINO FAUNO CHE FISCHIA... (2008) Mario Caroli flauto, Ernestine Stoop arpa, Tomoko Mukayiama pianoforte, Françoise Kubler voce, Christian Dierstein campane Attacca 2008 CD 28118
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SCIARRINO FIATO (2004) Sonia Turchetta voce, Alter Ego Ensemble Stradivarius 2004 CD STR 33647
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SALVATORE SCIARRINO LA PERFEZIONE DI UNO SPIRITO SOTTILE (1994) Sonia Turchetta voce, Roberto Fabbriciani e Gabriele Betti flauti, Fausto Bongelli pianoforte Ricordi 1994 CD CRMCD 1029
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