L'imprecisa macchina del tempo tre tempi per coro e orchestra da camera |
Instruments: | 2(1 fl. in sol).2(1 c.i.).1.1./1.0.1.0/perc./archi Coro: S.A.T.B. | |
Composition year: | 2013-2014 | |
(c): | Rai Trade 2014 | |
Catalogue number: | RTC 4617 | |
First performance: | 8.4.2014 Berlino, Philharmonie - RIAS Kammerchor, Münchener Kammerorchester, Alexander Liebreich, direttore | |
Duration: | 31' (11'-6'-14') | |
Imprecisa macchina del tempo
(intorno al XIX secolo)
Tre movimenti per coro e orchestra da camera
1. Ho pensato di raggiungere il mio scopo disponendo gli spettatori in modo
che fossero loro stessi a decorare la sala divenendone il principale
ornamento.
(Etienne- Louis Boullée: Architecture. Essai sur l'art, 1780-83)
2. …dovrò discutere alcune idee quasi universalmente accettate - continuò il
viaggiatore nel tempo. Per esempio, la geometria, come ve l'hanno
insegnata a scuola, è basata su una concezione errata.
3. Era scomparsa la fascia di luce
da lungo tempo.
Una volta indicava il sole.
Era scomparsa.
Perché il sole non tramontava più. Si sollevava ed abbassava per qualche
istante ad ovest, era più grande e più rosso.
Della luna nessuna traccia.
(Frammenti - omaggio a H. G. Wells)
Chi ha letto La macchina del tempo di Wells sa già che si tratta di un apparecchio fragile e troppo empirico da manovrare in mezzo alle correnti di un attraversamento innaturale.
Il succo di questo racconto non risiede nell'immaginare l'impossibile, bensì nella sua carica
metaforica. Stretti alle nostre illusioni, crediamo nell'oggettività della storia, nell'eternità dell'uomo: giusto ciò che questa macchina smentisce poiché mostra quanto precaria sia la vita sulla terra. Anche a fronte all'attuale distruzione del pianeta Wells sembra vanificare ogni futura malinconia.
Le misurazioni del tempo, persino le più sofisticate, che in archeologia vengono dette assolute, implicano comunque un notevole margine. Non c'è da stupirsi se noi, a cavallo sulla macchina del tempo, avvicinandoci al XIX secolo, saremo soggetti a una certa approssimazione.
Atterriamo fortunosamente poco oltre la metà del secolo precedente (il XVIII), e ne riportiamo poche righe, un sapore di teatro moderno.
Proviamo di nuovo a puntare l'indice della macchina verso il XIX secolo; per sentire il profumo di un'epoca non occorre evocarne i volti più ovvi, quali La Traviata o gli Impressionisti.
Atterriamo ora alle estreme propaggini dell'epoca, proprio nel 1895, anno in cui Wells compie La macchina del tempo. Da tali pagine trarremo un paio di paesaggi visti da una prospettiva talmente ampia da far svanire l'uomo, risucchiato nell'universo che lo ha partorito.
Veniamo a commentare i testi che abbiamo raccolto.
1. La differenza fra progetto e risultato tesse un dialogo segreto da cui nasce ogni creazione d'arte: un dialogo che si può intuire, ripercorrere talvolta, ma sempre rimane lontano dalla scena pubblica. Non così avviene in architettura, àmbito in cui si diffonde una prassi sorprendente. Gli schemi preparatori, anziché convergere e comporsi nell'unità finita del fabbricato, vivono una loro dimensione autonoma.
Con l'incisione dei suoi disegni Palladio proclama tale separazione ai quattro venti, come fosse guidato da un'esigenza ideale e ufficiale insieme,autosufficiente tanto da contraddire quanto aveva già edificato ed era sotto gli occhi di tutti.
Per converso, sovente egli adatta, alle esigenze pratiche dell'abitare, ambienti concepiti prima in classica, astratta simmetria. La fantasia architettonica dunque si mostra allo stato puro, sta di fronte a se stessa.
Duecent'anni dopo, Etienne-Louis Boullée (1728-99) nella piena maturità, inizia a produrre
strabilianti progetti, svincolati da qualsiasi commissione. Non a caso, associata con Ledoux, la sua viene chiamata architettura utopistica; in particolare egli immagina monumenti giganti, iscritti nel sogno di una società futura.
Mentre Raffaello (prendo un esempio fra gli innumerevoli) popola di genti la sua Scuola di Atene, con l'addentrarsi nell'800 cresce l'inclinazione al metafisico, ai luoghi dove l'uomo non compare.
Una spinta proviene dalle agguerrite spedizioni archeologiche: vi partecipano giovani architetti impegnati a fornire rilievi e colorite ricostruzioni; basti ricordare i superbi alzati dell'Acropoli ateniese inviati da Garnier.
Boullée aveva risvegliato il mattino consapevole di un genere digressivo. Pensiamo a Sant'Elia, de Chirico, fino ai più recenti nipotini acquerellisti, eleganti e svagati. E perché no, con loro dovremmo prendere in considerazione i pittori di paesaggi o di rovine. E qui l'elenco si estenderebbe indietro, oltre Cimabue, almeno alle stanze degli antichi Romani; in avanti, verso le variate stravaganze di Domenichino, Monsù Desiderio, Poussin, Piranesi, John Martin, Erastus Field, Böcklin, Diefenbach, Ciurlionis.
Devo ammettere: preferisco gli inventori. Mi piace trovare in quale opera compare una soluzione che poi altri metteranno a fuoco e applicheranno sistematicamente. Per individuare tali aspetti particolari, bisogna sapersi slegare dal contesto in cui riconosciamo l'invenzione; e insieme bisogna ricondurne la presenza in altri contesti. Non è solo questione di priorità storica; dobbiamo stare simultaneamente dentro e fuori ad ogni argomento per cogliere le maree del pensiero, per intuire il brillare di un'idea. –Appena dischiuse, le idee brillano?
L'opera d'arte m'attrae nel suo confuso formarsi anzi che in una pretesa compiutezza finale.
La storia delle invenzioni costituisce la vera storia, quella delle idee. Il nascere del nuovo sprigiona più energia e ci emoziona assai in confronto al moltiplicarsi e degradare delle repliche.
Pure qualora un monumento lungamente adibito all'uso venga spogliato delle aggiunte posteriori, enunziamo un'ipotesi di perfezione iniziale che raramente può aver avuto riscontro nel reale.
Come la purezza della razza che non è mai esistita.
Perfino la nascita di un'opera può essere problematica. Gli edifici spesso non finiti di Palladio, in rapporto ai relativi progetti, pongono interrogativi che infinitamente echeggiano dentro di noi.
2.3. Non sarebbe generoso sostenere che il campo dell'immaginazione segua la tecnologia o le scoperte scientifiche. L'artista è un visionario che intravede l'avvenire. Sebbene poco possa valere la mia personale esperienza, neppure sarebbe giusto tacerne.
L'impulso ordinatorio da compositore più volte mi ha portato a organizzare la materia sonora secondo regole poco ortodosse, tentando di formulare griglie mentali dove non esisteva ancora niente. Già il concetto di figura, di cui agli esordi mi facevo propugnatore, suonava eretico ma era più avanzato dei concetti di origine deterministica. Un esempio di maggiore attinenza? A me è occorso di cogliere la somiglianza di micro e macrocosmo, e l'ho sperimentata con rigoroso accanimento nelle composizioni fra il 1968 e il 70, quasi dieci anni prima che fosse pubblicato il libro di Mandelbrot, Gli oggetti frattali.
Torniamo ora a H. G. Wells. Lo scrittore accenna con disinvoltura all'esistenza di altre geometrie che mettono in discussione quella euclidea (che a tutt'oggi viene insegnata a scuola). Era il 1895: poteva egli, letterato, con un anticipo così largo conoscere teorie trasversali della matematica?
Eppure non ha importanza, la sua opera è priva di pregiudizi e sconfina da ogni genere; forse non è proprio essa, nell'insieme, ad affermare l'intuizione creatrice in sé?
Certo, la contemplazione vertiginosa della terra ormai disabitata, poco prima che finisca, piega le estremità del tempo, milioni di anni, entro una mente orientata alla scienza e documentata.
Wells ha raccontato le battaglie aeree prima che il primo aereo si staccasse da terra. Ha parlato dei marziani, descritto le città a venire con notevole giudizio. A me piace ricordarlo soprattutto per altro: egli ha saputo rendere lo sconcerto e il languore di un'intelligenza alta sprofondata fra la gente normale, a contatto con una società astiosa e refrattaria a se stessa. Anche in ciò Wells si proiettava fuori dalla sua epoca: criticava la sua gente o la nostra? Per un socialista convinto non era scontato mettere a nudo le banalità di cui si nutre la massa, l'umanità senza maiuscole, privata d'identità, senza gioia né coraggio di vivere togliendo il paraocchi. La visita meravigliosa è parabola che riguarda ciascuno, quando ci stacchiamo da noi stessi e scopriamo la realtà con sguardo chiaro e libero.
Salvatore Sciarrino