Creare l'apparenza del moto con la stasi, una logica di fatti senza relazione. Può sembrare un paradosso irriducibile, e invece è l'incantesimo che a me è stato assegnato.
Abolito il ritmo: la successione risulta da una gravitazione polifonica, come i segni nel cielo - allo stesso modo l'orizzonte somma profili molteplici di monti.
Il deserto lascia affiorare la fisiologia. Isole pulsanti di suono strisciano laghi di silenzio, e nel silenzio ritroviamo i suoni del corpo e li riconosciamo nostri, li ascoltiamo, finalmente.
Ora sentiamo nuove anche le minime tensioni degli intervalli. E i gesti, svuotati dell'originario dramma, non si danno per veri, e balugina la loro intrinseca rappresentatività.
La rarefazione è tale da emanare, ogni volta, uno spazio tutto proprio dove la composizione respira, lontana dalle musiche consuete. Straordinaria, stagliandosi pure sui suoni del quotidiano, dai quali paradossalmente è costituita.
La persistenza, talvolta, di eventi, di linee a mezz'aria come orizzonti sospesi fornirà le coordinate al nostro orecchio.
Mentre un tempo il volto dell'opera doveva comporsi unitariamente, come isolato nel vuoto, ora si rovescia quella volontà di forma. E i margini del pensiero, creati già tali, vengono semplicemente accostati.
Non più dissimulati, produrranno impossibili dislivelli - le cesure - violente cicatrici in primo piano. Quasi gli strati della coscienza si fossero moltiplicati, sovrapposti, l'opera rappresenta i suoi stessi processi, tracce su tracce, per somigliare a un quaderno di universi lacerati. In particolare riconosciamo due dimensioni distinte: una è leggermente più oscura, ferina. Né continuità, né frammenti, né dialettica. Sono evitati gli sviluppi, e in realtà solo suggeriti affinità o legami, fra un momento e il successivo.
Suscitare lo spazio dove non c'è che una dimensione mentale può sembrare un surrogato in assenza dell'antica musica. Eppure basta la stessa coscienza del processo mentale, attraverso un'attenzione capillare al percepire - e la coscienza che la rete dei sensi organizza anche il disordine, ed è leggibile il caos. In virtù di tutto ciò è diversa questa musica, nuova la sua legge, e il suo finto racconto si rende, per grande o minuscolo che sia, alla soglia del secolo.
Una melodia di vuoto. Aggirandola per anni, ne viene evocato il lirismo. L'aura soltanto, quasi magicamente, poiché mancano persino i presupposti di una stentata sequenza. È generosa la nostra mente.
Ad essa questa musica flebile si volge. Non più fatta per addormentare le fiere. Anzi ugualmente addormenta in noi la fiera, strumento di conoscenza.
(1985)