Sei capricci per violino 1. Vivace 2. Andante 3. Assai agitato 4. Volubile 5. Presto 6. Con brio |
Dedica: | a Salvatore Accardo | |
Organico: | violino | |
Anno di composizione: | 1976 | |
(c): | Ricordi 1976 | |
Numero di catalogo: | 132422 | |
Manoscritti e documenti a stampa conservati presso la Fondazione Paul Sacher di Basilea | ||
Prima esecuzione: | 27.08.1976, Siena, XXXIII Settimana Musicale Senese, Chigiana Novità - Salvatore Accardo violino | |
Durata: | 18' | |
DI UNA MUSICA D'OGGI
«Non si scrive una poesia per dire ciò che si intende da sé». Chicapisce questo pensiero comprende anche cosa mi spinge a tralasciare la notasul singolo pezzo e a scrivere delle mie opere, con gli anni, sempre più in generale.
Non si deve confondere una delle caratteristiche di maggior rilievo della mia musica, l'aspetto utopico, con un semplice fatto virtuosistico.Fondamentale è la tensione ai limiti della percezione auditiva, massimamente al limite di velocità, l'approssimarsi cioè al punto in cui si percepisce non più una successione di suoni ma un unico evento sonoro, sfruttando un fenomeno definibile come «inerzia auditiva»; e, se è vero poi che la mano sia in grado di realizzare ciò che l'orecchio arriva a percepire, e viceversa, è altresì vero che entrambi, orecchio e mano, possono gradatamente avvicinarsi alla vertigine di quelle soglie. Si evidenzia in ciò una irriducibile esigenza a forzare ed estendere le umane facoltà, si realizza il bisogno continuo di autosuperarsi.
Ciò che conta percettivamente è dunque la trasformazione del suono tramite la massima articolazione, che all'arricchimento dell'informazione è proporzionale. Tanto più efficace la trasformazione quanto meglio i materiali le si prestano: questa una delle ragioni che determinano l'uso prevalente di suoni armonici per gli strumenti che lo permettano — archi, fiati, alcuni strumenti a percussione. Nelle musiche orchestrali poi, gli armonici, in rapporto ai suoni usuali, possiedono maggiori possibilità di fusione in unità complesse e offrono un minore assorbimento, la finalità essenziale poggiando tanto sulla percezione nitida che sulla fusione organica senza prevaricazione di un'unità sull'altra o con prevalenza calcolata ad arte. Si manifesta qui un'altra tendenza, sfumante nell'alchimia, a creare unità sonore quasi « per sintesi ». Alla base risiedono leggi fisiche ben precise sul dislocamento delle altezze, senza però che tali leggi siano applicate se non secondo una prassi musicale, cioè empirica: si badi che ogni aspetto fisico e fisiologico al quale si accenna cela in realtà un problema compositivo.
Conseguenza e presupposto di quanto fin qui esposto è che per la prima volta in maniera decisiva il timbro non è concepito più soltanto come colore ma determina la struttura linguistica e le prassi compositive della musica: siffatta concezione restituisce al suono, nell'inscindibilità delle sue componenti, una nuova organicità. Immediato precedente sarebbe la schoenberghiana «Klangfarbe». Qui però tende ad annullarsi il concetto stesso di melodia, mancando in questa musica il senso atomistico di nota, almeno percettivamente; fondamentale è il radicalismo con il quale si mira ad abolire la concezione melodico-accordale (corrispondente alla bipolarità concettuale successione-simultaneità) in favore di un utopico prolungamento dell'animo. Soltanto la constatazione che non sussiste ornamento laddove non vi sia supporto da abbellire basterebbe a vanificare ogni accusa di decorativismo nei miei confronti che confonda per accessorio quel che è elemento strutturale; inoltre l'assenza di ogni forma di atomismo pone la mia musica agli antipodi dell'impressionismo, al quale talvolta la si paragona per qualche lontana somiglianza, effettiva ascendenza o mia personale simpatia. Non ci si appaghi — si ricordi Adorno — dell'apparente piacevolezza di alcuni materiali, se ascoltati con orecchio distratto e inetto così a condurre nei regni della forza e della necessità, a percepire i legami della logica e le funzionalità organiche, poiché il discorso invece si serra spasmodicamente; sia lecito, talora, considerarlo come a distanza si contempla un vulcano in eruzione.
Il rapporto di questa musica con la tradizione può apparire ambiguo ma è in realtà profondo, poiché l'abolizione percettiva dell'impianto melodico-accordale non rappresenta la negazione del discorso, presente come totalità ed efficiente come totalità. « Il discorso è l'imperituro, è la primogenitura dell'eterna legge », s'apprende da antiche scritture. C'è da precisare che melodie e accordi — se pur di tipo particolare — vengono pure impiegati; il loro senso è però totalmente stravolto e visionario: come sempre, è il contesto a determinare il significato. Si può cogliere in tutta la sua portata tale rapporto con la tradizione partendo dai concetti gravitanti intorno all'aspetto figurale e percettivo. Con la scuola di Darmstadt s'è determinata l'attuale perniciosa confusione tra atti compositivi preparatori e fatti strutturali: i primi, concernenti propriamente la elaborazione del materiale e non l'articolazione discorsiva, vengono dati come principi di rigore pur essendolo solo a un livello minimo. Le vere strutture del linguaggio invece non possono prescindere dalla percezione, sono anzi, senza di questa, rese affatto prive di senso, addirittura non esistono. Unicamente su una base del genere si. realizza un rapporto effettivo col nostro passato. Noi diamo al termine «struttura musicale» il significato di relazione figurale, di figure non in sé conchiuse ma assunte nella loro piena funzionalità, cioè a dire nel loro reciproco collegarsi, che è di natura teleologica. Chiameremo più semplicemente «agglomerato di suoni» la struttura dei cosiddetti strutturalisti. Principio di differenziazione (e legame) tra Darmstadt e ciò che ha generato, da una parte, e la mia musica, dall'altra, è il progresso dal momentaneo al durevole, dalla impressione sensibile alla "figura", che consente la fondazione e il formularsi di un vero e proprio linguaggio.
È bisogno insito nell'uomo il produrre cose formate, cosi come pure nel corpo nulla può prodursi che non abbia una forma. Quintiliano: « paene quidquid loquimur figura est ». Qui l'indagine sulle figure archetipali diviene carattere essenziale — cioè l'essenza — della musica. Le affinità ricercate con questo tipo di analisi non risiedono in un determinato contenuto, bensì in un determinato modo di concepire; compatibilmente a esigenze compositive e tutt'altro che scientifiche, pure si cerca di retrocedere fino allo strato linguistico, primario, dell'interiezione. Non prevalgono, secondo tali analisi, i soli rapporti d'estensione (appartenenti alla sfera concettuale); questi vengono equilibrati all'intensità dei rapporti, non trascurando la qualità per la quantità. Si cerca di realizzare la coscienza speculativa su fatti archetipali, ma proprio in quanto senza di essi non viviamo. Un breve tratto allora scoprirà mille connessioni. A questo patto, se nel linguaggio riconosciamo una forma del pensiero, può svilupparsi una complessiva immagine teoretica del cosmo. Non si pensa, con recenti avanguardie, che i linguaggi si reinventino ogni volta da capo: ogni civiltà è paideumatica, possiede una fondamentale capacità di reazione, cioè, inizialmente, di natura passiva, alla base di azioni, creazioni, opere di cultura. Il progresso conquistato con la sola volontà nulla ottiene più che uno spasimo. Cosi come non si stabilisce una denominazione con un atto d'arbitrio, tantomeno è possibile, oggi, creare dal niente un linguaggio. Nessuno mi taccerà di neofobia dato che qui le novità pullulano numerose, poiché l'idea stessa non segue mai con precisione un processo della realtà: essa si arricchisce, da quei processi attingendo, e li arricchisce a sua volta; il simbolo è un organo della realtà e non di questa imitazione. Non si ripeteranno qui note affermazioni per le quali si pone il linguaggio come metafora (o metabasi), mentre siamo portati, e certo non saremo i primi, a interpretare in tal modo il goethiano « Alles Vergangliche ist nur ein Gleichnis ».
La pervadente simmetria è una caratteristica della musica in questione. Una particolare forma di serialità applicata alle figure vi agisce a vari livelli; "non è difficile rintracciare criteri di distribuzione statistici. Leggi percettive più complesse ne regolano l'intimo movimento; ma in questa sede è inutile affrontarne il rigore, e certo troppo lungo addentrarvisi per esplicarne la sintassi: solo alcune considerazioni, ancora, generali.
Il suono è massimamente articolato in unità figurali di grande ricchezza interna, è privo d'attacco (viene sempre «come da lontano»), così pure l'intera figura non ha contorni e compare fluttuando: quasi un'apparizione. Le unità si articolano quasi sempre in una sorta di hoquetus costante (mezzo che agisce ancora sul timbro col mascheramento delle entrate ma anche, decisivamente, sulla fusione del tutto in un unicum pulsante).
Ciò che imprime dinamismo a un decorso altrimenti: statico, a questa sorta di pulsazione fisiologica di un continuum, è il ricorrere a unità di maggior peso dinamico, timbrico; a unità più dense, o l'affondo nel grave di una musica tutta tessuta ai registri superiori, riproducendosi l'immagine perenne dello sgorgare dal profondo o dell'Albero Cosmico, il cui fogliame si distende a guisa di volta celeste.
I 6 Capricci, pur non derivandone, hanno il loro antecedente negli appunti a una Grande sonata per violino solo, del 1969. La composizione del secondo precede la stesura degli altri, essendo compiuti l'uno nel gennaio dello scorso anno, durante l'inverno 1976 i rimanenti.
Ogni capriccio è diverso, sia come taglio formale che come trattamento dello strumento, sia, più in generale, come « carattere » della musica. E' pure da notare come in ciascuno si focalizzi l'attenzione su un particolare aspetto tecnico o su di una certa condotta strumentale: non fatto nuovo, anzi tipico dell'antico audio. Non mancano tuttavia elementi di vario collegamento tra i sei numeri che compongono quest'opera, né gli accenni a una circolarità, segnata, alla fine del sesto, dal ritorno al primo capriccio. Inoltre il sesto pezzo concentra e in un certo qual modo riassume, a volte semplicemente per allusioni o trasformazioni fugaci, i primi cinque capricci. La dedica è a Salvatore Accardo, impareggiabile violinista e dunque destinatario per dir così « naturale » di questa mia recente fatica.
SALVATORE SCIARRINO
Sciarrino, Tartini, Berio, Paganini (2018) Michael Barenboim, violino ACC30431 CD 2018
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The Dreams & Fables I Fashion (2018) Elicia Silverstein, violino Rubicon RCD1031 CD 2018
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CAPRICE IRVINE ARDITTI (2017) Irvine Arditti, violino Aeon CD 2017 AECD 1755
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SALVATORE SCIARRINO COMPLETE WORKS FOR VIOLINO AND FOR VIOLA (2016) Marco Fusi violino e viola Stradivarius 2016 CD STR 37057
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6 Capricci (2015) Egidius Streiff, violino Streiffzug.com CD 2015 SC 1302
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AISHA ORAZBAYEVA OUTSIDE (2011) Aisha Orazbayeva, violino Nonclassical 2011 CD NONCLSS013
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REFLECTIONS I (2006) Carolyn Widmann, violino Delos Music Records 2006 CD TLS 116
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THE REFINED EAR (2006) Barbara Lüneburg violino Coviello Classics 2006 CD COV 60610
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SALVATORE SCIARRINO CAPRICE POUR VIOLON – UN'IMMAGINE DI ARPOCRATE (1994) Marco Rogliano violino, Massimiliano Damerini pianoforte, Chor der Universität Freiburg, Orchester des Südwestfunks Baden-Baden, Ernest Bour direttore Accord 1994 CD 202862 MU 750
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IL VIOLINO CONTEMPORANEO (1980) Georg Mönch violino Fonit Cetra 1980 LP LMA 3002
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Salvatore Sciarrino - Sei capricci per violino solo, Marco Fusi violino [link] |