La porta della legge - quasi un monologo circolare Opera in un atto |
Wordbook: | dal racconto "Vor dem Gesetz" di Franz Kafka | |
Characters: | Uomo I (baritono), Uomo II (controtenore), il Guardiano della porta (basso) | |
Instruments: | 3.2(=1+c.i).3(=1+2cl.b).2. / 2.2.2.-. / perc (4 esec.) pf / archi | |
Composition year: | 2006-2008 | |
(c): | Rai Trade 2008 | |
Catalogue number: | RTC 1932 | |
Manuscripts and printed documents kept at the Paul Sacher Foundation in Basel> | ||
First performance: | 25.04.2009, Wuppertal, Opernhaus - Ekkehard Abele baritono, Gerson Sales controtenore, Michael Tews basso, Sinfonieorchester Wuppertal, Hilary Griffiths direttore, Johannes Weigand regia | |
Duration: | 1h15' | |
LA PORTA DELLA LEGGE
…"le disuguaglianze degli uomini […] non permettono che alcun'arte possa indicare qualcosa di semplice, che serva in tutti i casi e in tutti i tempi[…] La legge […] tende proprio a questo, come un uomo prepotente e ignorante […] anzi nemmeno lascia che altri lo interroghi".
È un passaggio delle Leggi di Platone, che sembra offrire spunto al racconto di Kafka Davanti alla legge, che lo scrittore inserirà tale e quale nel Processo.
In una lettera a Felice Bauer (1913) Kafka dice che un funzionario "si presenta come il muro del mondo". Proprio a tal genere di figura appartienel'Usciere, personaggio chiave dell'opera. L'Uomo, il protagonista, è la sua vittima di turno, però soffre di una complice debolezza. Uomo, e poiancora due in una voce, e il moltiplicarsi degli Uomini accenna a una serie infinita di vittime, una dopo l'altra.
Dietro l'Usciere la musica lascia intrasentire, traverso brevi spiragli, un altro mondo ricco di suono: egli canta dei suoi superiori, terribili come leantiche gerarchie angeliche. Alla fine (una fine ricorrente), quando l'Usciere si china sull'Uomo, mostra la confidenza di un Dio con la creatura, einfonde sul suo volto il soffio della morte.
Ogni giorno ciascun uomo si sveglia. Eppure giungono momenti in cui da svegli ci svegliamo, guardiamo in modo nuovo. Ci sveglia la coscienzadavanti a spettacoli naturali o estetici, ma pure di fronte alla nostra miseria. Da anni osservo i problemi della convivenza, e così mi sento testimonenon muto di una forte regressione sociale. Dinanzi al graduale verificarsi di ciò che chiunque, pacatamente, era in grado di prevedere, ci si accorgeche di colpo ci è stato tolto il respiro, insieme con la fiducia in migliori giorni di civiltà a venire: ecco lo stupore assale, prima del malcontento checi roderà.
Se un bel giorno scopriste che la cultura, i progetti più coraggiosi sono vani, che il vostro paese non ha raggiunto neanche una parvenza di identità?Se vi sembrasse di assistere solo a una messinscena beffarda, che ne è della vostra vita? È quanto sta succedendo a noi. Altri possono scivolare nelladecadenza, il nostro paese no, non può decadere perché ha perso un secolare appuntamento, quello di realizzare l'ideale stesso dell'Italia.
Senza identità non v'è società: allora la burocrazia, sovrapposta alla disgregazione, diviene micidiale. Vediamo che la vita non è libera, il singolo èinascoltato, paralizzato, su di lui la pubblica amministrazione può esercitare il sopruso perché essa corteggia solo i gruppi e le masse. Non parlo dellaprecaria condizione di un artista. Parlo della sopravvivenza fisica mia, tua, sua. Le ombre della situazione attuale forse da tempo posano sulla miamusica, nell'affanno di alcune opere.
Non è facile abbordare l'argomento senza gridare o senza sorridere: chi non abita qui non può sapere come la mia nazione abbia spinto oggi aperfezione l'assurdo universo di Kafka, la burocrazia assassina, trasposta in una terra di climi più miti, fra diversi contesti di architettura e in chiarità,niente nebbie controluce: folklore, televisione spazzatura e sporcizia vera.
1999. Su un muro di Firenze, a via del Moro, leggevo il seguente epigramma enigmatico, intelligente:
L'ARGO ALL'ITALIA
CHE PRODUCE E LAVORA
E CHE DIVORA.
APPUNTI DIETRO LA PORTA
Un rantolo sigla e scandisce quest'opera. All'ascolto è chiaro che il dramma cominci mentre il protagonista è prossimo a morire. Il pensiero si volgeindietro per un istante che tutto ricorda, tutto riassume. Di questo sguardo disperato siamo spettatori.
Passa un'intera esistenza nello spazio di pochi minuti, e poi di nuovo passa un'intera esistenza, la stessa o quella di un altro. E ricomincia.Vi sono farfalle che nascono al mattino e già al tramonto sono moribonde. Per noi uomini, che coroniamo con il sonno il buio, il ritmo della lucerichiama la brevità e suona leggermente a morto. Frattalità del vivere: perché basta un sol giorno a riflettere tutto l'arco dei giorni? E' potenza delsimbolo? O vera equivalenza di forme temporali, connaturate ed evidenti così da non richiedere spiegazioni?
La musica crea un'ampia scansione di periodi simili e diseguali. Un paesaggio sonoro dove inaspettati scoppiano i pieni di una dimensione parallela,terribile come un'apparizione dalla spada fiammante, come quella che ci escluse dal Paradiso.
Mutevole e ineluttabile, il paesaggio due volte ritorna per intero, e vi rimbalzano in punti identici i recitativi, assai differenziati talvolta ma sempreseveri, in quanto privati affatto d'ogni slancio lirico. Fra la vita del primo Uomo e quella del secondo (e il curioso finale a due) una singolarestatistica della mente regola il colorito emozionale, distribuisce frasi forse uguali e forse no. Una comparativa drammaturgia testuale e musicale frale parti, fra due e più vite. Ciò che la prima volta induce l'ansia che rimugina se stessa, scorre invece la volta successiva; e viceversa, ciò che fluivas'inceppa e ora si dispiega innanzi a noi nella sua realtà rappresentativa. Il parallelismo avviene qui non tra dimensioni simultanee bensì fra episodiposti in sequenza, e dunque lontani, affinché la memoria e il dubbio possano interferire reciprocamente e mescolarsi.
Il ripetersi delle azioni ci logora, il quotidiano scema l'interesse. Le nevrosi dilagano, i tic, le domande sospese nel catastrofico tardare (sebbeneinfinitesimo) delle risposte, il riprodursi delle domande senza risposte, il rintronare dei dinieghi nelle solitudini della mente.
Poco ancora.
Essere uccisi dalla burocrazia: morte per burocrazia non è oggi infrequente. Burocrazia non significa soltanto disfunzione pubblica, o un eccesso dirigidezza nella società. Burocrazia è soprattutto una forma spicciola di tirannia, rivalsa di piccoli frustrati assetati di potere. L'ordine in sé ne vieneprivato di senso. La paralisi burocratica affila ritardi, ingranaggi atroci e, paradossalmente, arresta il lavoro proprio e altrui; nel nome dell'efficienzagenera un tranello, coprendo la voragine del far niente, a cui senza scampo conduce.