1980. Sul volgere d'estate mi trattenni ancora in terra d'Umbria. Presi alloggio in un paesino collinare, compivo - solito albergo, stessa camera inondata di carte, i riti stagionali. Intorno, i colleghi dei corsi musicali, strascichi di parole. E poi: le mogli nella hall, tutta una commedia d'incontri rococò - io, come il coniglio di Alice, un po' troppo sfuggente durante pause più simili allo sgranchirsi di un folle che a passeggiate dinanzi al panorama; poiché questo in tempo di villeggiatura è uno dei luoghi dell'esibizione, quasi una ribalta, né si adatta a chi cerca le solitudini. La mia porta è un limite apparente, come una soglia: un simbolo. Basta affacciarvisi (o un'occhiata profana buttata lì diagonalmente) e qualche foglio vola via nel corridoio; così intenso il lavoro fra quei muri, rispetto allo spazio comune saturo d'ozio, da formare sempre delle turbinose correnti.
Immagino che tutto ciò nelle pupille della gente mostrasse un che di fanatico quasi al confine del pittoresco: una splendida dedizione d'altri tempi. Io invece mi sentivo come se scrivessi seduto in una bolla di sapone, allo sguardo di tutti, inerme - cosa non dissonante però con la natura collettiva e non violenta del mio magistero, e la mia sete di verità.
Pure, in quell'arco molte pagine al giorno, stese con sicurezza e inconsueta soddisfazione. Le scrivevo quando la simbiosi con gli allievi sembrava allentarsi a causa del ritiro nelle rispettive celle, necessario alla composizione. Forse durante la mia quotidiana ricerca di camerieri all'ora del tè, due noti musicisti mi forzarono a un foglio d'album. Il giorno seguente era il loro concerto e volentieri lo avrebbero suonato come bis. Sfida affettuosa al compositore infaticabile, o una scommessa non generosa, in fondo? Mi schermii: troppi gli impegni e le scadenze imminenti. Ma la notte - nido della Fenice, posi nel crogiolo bianco di un foglio alcuni suoni e formai un breve duo. E la mattina dopo lo copiai tenendolo nascosto, perché non mi pareva giusto dopo la Sinfonia Concertante, di cui sarebbe stato troppo fragile corona.
Così, solo al termine della serata, donai agli amici La malinconia.
(1983)