Un madrigale forse, sollecitato a distanza di anni come chiusa di Luci mie traditrici, che unastessa sera si intreccerà all’Orfeo di Monteverdi. Non ho mai nascosto la volontà di riformare ilmelodramma attuale, dunque l’accostamento mi è parso quantomai sensato, ricco oltretutto diinfiniti precedenti storici.Luci mie si apre al vuoto: un Prologo singolare, una voce sola, fra sé, fuori scena; il canto s’interrompebruscamente e ciò pone domande allarmanti. Intanto è seminata la traccia di un percorsomusicale, parallelo alla vicenda teatrale.L’idea di un Congedo discende dal mio Macbeth; sebbene organico, forma, proporzioni se nedistacchino, qualche frase centrale quasi si riconosce. Le voci si uniscono e separano in assolutaomofonia. Il testo fu riscritto; le frasi, irregolarmente divise fra le parti, deviano verso altre sfumaturee la medesima parola può mutare sembiante. I richiami iniziali del flauto tornano in fondomentre il clarinetto gorgoglia: sono gli ultimi riflessi dell’Elegia di Claude Le Jeune, che ci avevaintrodotti allo spettacolo.Bello che le opere seguano un proprio destino, separato da quello dell’autore: meglio non rimasticarené tornare sugli stessi passi. Ma se un’opera m’apparisse dinnanzi, mi parlasse, perché fingere diessere estranei? Anche bello adattarsi all’imprevedibile, fiutare il vento pronti a partire: così è diquesta breve avventura odierna.Nella sua fortuna Luci mie ha avuto ogni sorta di messa in scena, rischiando talvolta di ridursi auna cronaca feroce.Questo dramma invece non è solo il naufragio di una relazione, anzi: è una misteriosa trappolad’amore senza soluzioni, vissuta da quattro persone, ciascuna sotto una diversa prospettiva (marito,moglie, ospite, servo).Ogni tragedia rappresenta gli eventi che lacerano l’esistenza umana. Ciò occorre alla società permeglio comprendere la vita quotidiana nel suo scorrere tranquillo.Il nuovo finale dunque, non d’obbligo però necessario, invita a prendere le distanze e riconsiderareogni cosa.Siamo entrati in una zona della mente dove si scatenano impulsi estremi, dove vengono a confondersiragione e follia. Non dobbiamo però dimenticare, e non possiamo tornare a casa sporchi disangue; ecco perché non si tratta di attaccare un’aggiunta, bensì creare un ulteriore spazio risonanteper lo spettatore, per ognuno di noi.Ora, mentre escirischiara lo sguardodistendi la fronte.Troppo sacro l’indicibilenon disperderloè colpa il discorsoe da vivi si chiude la bocca.Così l’orrore che fu vistonon ci sporchi di sanguema sia tutto dato alla memoria.Salvatore Sciarrino10 agosto 2016