Il pomeriggio di un allarme al parcheggio per flauto a testata mobile I. Calmo II. Qualche istante dopo, meno calmo |
Instruments: | flauto a testata mobile | |
Composition year: | 2015 | |
(c): | Rai Trade 2015 | |
Catalogue number: | RTC 4803 | |
Commissions: | commissioned by Klangspuren Schwaz-Tirol Festival of New Music | |
First performance: | 20 settembre 2015 Klangspuren Festival Schwaz, Erik Drescher flauto | |
Duration: | 8' | |
Giugno 2014, un pomeriggio a Berlino. Uscivo dalle Gallerie con l'intenzione di avviarmi a piedi verso l'Opera di Stato. Ragguardevole distanza, avrei potuto arrivare in ritardo alla prova generale, ma il tempo era invitante oltre ogni decenza. Eccomi già in marcia costeggiando la Filarmonia.
Improvviso, un segnale d'allarme rompe il respiro del vento. I proprietari della macchina, una coppia matura sconcertata di turbare le primavere altrui, stentavano a far tacere il sistema. L'allarme lacerava ogni volta lo spazio vitale della città, il suo intreccio di suoni: all'orizzonte il continuo sommesso del traffico, lambìto dalle voci dei giardini, screziato dagli uccelli ancora in lotta per amore. Anche la mia mente aveva invaso questo allarme che suonava strano; anziché la solita formula rigida, sembrava l'esibizione di un repertorio, un campionario di allarmi, tra i quali doveva esser scelto quello preferito o quello più odioso. Ne fui divertito tanto da fermarmi e fissare i suoi contorni obliqui sul quaderno.
Associavo questi glissandi poveri d'armonici a quelli del flauto adattato da Dick. Qualche giorno prima, Erik Droscher s'era offerto di suonarmelo e m'aveva colpito la compressione del timbro, dovuta credo alla modifica del canneggio e all'accorciarsi dello strumento.
La settimana seguente presi in considerazione l'appunto, cercando di inserirlo in un nuovo contesto di musica, variegato come m'era apparso il brusìo della metropoli fra le brutali interruzioni. Soltanto allora risposi di sì alla richiesta di Droscher.
Il segnale d'allarme era formato di stereotipi riconoscibili, tutti li abbiamo in testa. L'àmbito che nel pezzo si viene a interrompere non imita la realtà, ma la sostituisce con un'immagine organica, un discorso che nella sua continuità produce appena un'ombra del rumore urbano.
In effetti i miei modelli non sono classici né contemporanei. Piuttosto io attingo all'ambiente che ci circonda e alle opere della tradizione, senza mediazioni. Cerco di azzerare entrambe le accademie: quella dei manuali (d'armonia e contrappunto) sia quella del determinismo recente.
Per ambiente intendo lo studio del comportamento animale e umano. Oggi ci si deve avvicinare alla natura liberi dalle idee romantiche e, ugualmente, liberi dalle confuse prevenzioni che ancora ristagnano nel mondo della musica.
Molte fra le mie opere sono metafore dichiarate del linguaggio. Esse propongono un'esperienza di illusione sonora del reale (di cui pure la casualità è rappresentabile). Tecnologia e natura si mescolano nel paesaggio attuale; così ho raccolto trasmissioni radio, i suoni della notte, la fisiologia interna del corpo umano, campane, pietre, vento, mare, telefoni vecchi e nuovi, rumori di treni: Efebo con radio (1981), Lohengrin (1984), Perseo e Andromeda (1990), Archeologia del telefono (2005), Senza sale d'aspetto (2011). E adesso giunge questo Pomeriggio non d'un Fauno, ma di un allarme al parcheggio (2014).
Il fatto che gli stimoli creativi e i criteri logici della musica possano provenire da qualsiasi campo dell'esperienza umana, è abitualmente ignorato o censurato. Quando mi offro di esplorare le fasi psicologiche attraverso cui si forma l'idea di una composizione, vengo mal tollerato. Il nostro mondo musicale rifiuta qualsiasi apertura, qualsiasi alternativa, ed è da tempo arroccato su posizioni aride, già in sè teoricamente infondate: si preferisce una lingua priva di emozioni e significato.
Spesso i musicisti si schermano dietro motivazioni pseudo-scientifiche, citazioni a sproposito di cui sfruttano il potere d'autorità. Quanto però a un vero incrocio con le altre discipline, neppure a parlarne.
Non amo gridare, e neppure ignorare le gravi conseguenze di questa situazione bloccata, sull'attuale società e le generazioni a venire.
Tale situazione si perpetua attraverso il disimpegno degli insegnanti di composizione, che si comportano più da impiegati che da artisti. Come definire tutto ciò? Burocrazia estetica?
Personalmente (come sempre) preferisco rischiare una sana eresia alle stasi dell'ortodossia.
Salvatore Sciarrino