L'ideale lucente e le pagine rubate per archi |
Instruments: | 6 violini I, 5 violini II, 4 viole, 4 violoncelli, 2 contrabbassi | |
Composition year: | 2012 | |
(c): | Rai Trade 2012 | |
Catalogue number: | RTC 4259 | |
First performance: | 7 settembre 2012 Bonn Beethovenfest
Mūnchenerkammerorchester, direttore Alexander Liebreich |
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Duration: | 25' | |
Con slancio imboccammo il ponte di Vulci. Affacciati sul culmine cercavamo a occhio di valutare l'abisso. Allora provo a lasciar cadere un sassolino. Lascio, il click si perde nell'acqua che scroscia laggiù sotto di noi. Trovo una piuma. Lascio, la osservo spirare esitante nel bel tempo d'inverno.
Entrammo. Persino dentro al piccolo museo penetrava il mattino splendente stretto da rade feritoie. Passavamo da una vetrina all'altra, commentando e scattando qualche foto a me utile: attingitoi rituali troppo alti e pesanti per i vivi, la decorazione a palmette fenicie – ecco un custode si stacca dallo sfondo, dritto a noi: viene a chiedere che tipo di macchina abbiamo, c'è stato un furto fuori, al parcheggio. Penso alle mie carte. Ahi messaggero, subito ci rassicurasti!
Ho l'abitudine di memorizzare sistematicamente cose e luoghi; non mancava tanto al termine del labirinto. Una volta usciti, leggermente preoccupati, ci sorprendono vetri infranti. Se ne stavano muti i turisti derubati. Mentre sommessi crediamo di rimetterci in marcia si accende la spia del bagagliaio: scendiamo a precipizio, apriamo: la scoperta di aver perso tutto. Al contrario dei nostri vicini di rapina cerchiamo dove sporgere denunzia; sembra deserta questa campagna, aperta a terrazze di altipiano, anzi magicamente abitata, digradante verso il mare. I militari confermano: è terra di confine, i banditi controllano da lontano la zona, piombano un istante, spariscono.
Il giorno era consumato. Sconsolati fra le terre del Papa e il Granducato, su un altro versante dell'Italia, interrompiamo il percorso, torneremo anzitempo a casa; intanto sostiamo per mangiare. Arrivano a pranzo pure i nostri Carabinieri.
Non era senza senso l'accaduto. Solcava il ragionare però una vena di amarezza. L'invasione dell'intimo, strappato via porta con sé distruzione. S'era mostrata la follia del mio lavoro, la sua fragilità. Follia di una passione assoluta che basta un nulla a vanificare. Oltre il comporre, la mia vita cos'ha di notevole?
Mi tornava un'immagine ferma: sono io che contendo la mia sacca a un balordo, forse drogato. In piedi, siamo a traverso lo spigolo del tavolo fra lo stupore dei miei amici e dei commensali del ristorante. Le mie mani stringono con tutta òla forza (dita e unghia mi dorranno per qualche tempo) eppure non mollo la sacca bianca, non riuscirei a mollare neanche se lo volessi: intorno cadono posate e bicchieri. Mi insulta, dice che è roba sua. Mi sputa in faccia, disinvolto, aveva già sputato nella mia minestra. Prima che la polizia brutalmente lo immobilizzi supino sopra il parquet, passa un infinito.
Era successo due anni prima, a Friburgo Bresgau.
Stavamo pure a tavola ora, dopo il furto. Si cercava il sorriso, invece dilagava il silenzio. Vagavo altrove con la testa. Ricordo solo il colore del vino nella penombra: lo splendore di quella mattina s'era ridotto a un puntino, quieto sui calici da osteria.
Penosamente ci tratteniamo in Etruria. C'è venuta a noia. Ostinati esploriamo incroci di strade, innesti verso direzioni incognite dov'era probabile gettassero i bagagli svuotati, ci avevano detto. Non era finora accaduto che lasciassi in valigia i miei fogli: vi porto sempre con me amati e sofferti, anzi mai mi separo da voi. Stavolta il bagaglio semivuoto e leggero aveva reclamato, m'invitava a infilar dentro pure le carte da musica.
Il lavoro nuovo si annunziava con appunti, pagine di pentagrammi velocemente delineati, diagrammi di alcune sezioni. Mi ero forzato a comporre in direzioni radiali, tentative, in previsione di un viaggio etrusco-medievale lungo la costa nord del Lazio. L'avevo covato per anni, breve giro di studio a Tarquinia e Vulci, poi salire fin a Volterra, che ho amato in sogno senza conoscerla.
Pochi hanno scelto di non possedere un'automobile, e fra loro son io. Mi accompagnava Giuliano, umbro scuro di pelle, ben intonato alla componente etrusca dell'itinerario.
Tarquinia ci aveva offerto una visita ricchissima. Troppo vago ciò che rammentavo del museo, erano passati quarant'anni. E non sospettavo una qualità a tal punto alta delle tracce romaniche. Trascorsa la notte, Vulci voleva essere solo una tappa di passaggio e invece guasta la vacanza.
Ovviamente potevo riscrivere a memoria la musica rubata. Durante il ritorno ripercorrevo nella mente gli appunti, trascurando e per metà adocchiando scorci di paesaggio strani e di bellezza insospettabile: calavamo infine in picchiata dalle montagne, quasi a volo d'aquila su Orvieto che al solito domina dal suo trono inaccessibile.
Affiorava una contraddizione: perché era rimasto ferito in me l'amore d'inquietudine, cui ho dedicato l'intera esistenza? Eppure la riflessione sull'effimero mi era congeniale, anzi aveva impresso un segno sulle mie opere. La fine, consideravo, colpisce all'improvviso, ora per mano ignota: continuiamo ad affannarci ed è già preparata la catastrofe. Non più disfacimento, malattia, reclusione, trasferimento; bensì scomparsa secca di una parte essenziale di noi. Un'occasione critica, da sfruttare per maturare ulteriormente. Vedremo dove ci conduce.
Seguì una settimana calma in apparenza. Una curiosa telefonata semianonima fatta di domande, frasi reticenti, svolta all'improvviso su una valigia lanciata aperta in un fosso distante da Vulci – i fogli di musica sparsi fra l'erba: uno per uno recuperati dai Carabinieri di Montalto.
Ignari della denuncia, depositata a 20 km da loro, s'erano impegnati a vagliare la mia logora rubrica telefonica fitta fitta; ormai estranea a me stesso, verso le ultime pagine si nascondeva la scritta cellulare mio, seguita dal numero.
Ancora adesso qualcosa mi duole. Cercherò di capire se le manìe di persecuzione latenti in un musicista militante, perennemente conscio di essere eretico, restino arrossate. Da qualche parte, non so dove.
Ma cos'è l'ideale lucente? Quello di chi indossa un'armatura. Dovrei diventare aspro verso molti compositori. Essi sfuggono alla responsabilità d'artisti. Un ruolo rischioso, questo, determinante per la società.
Non so se quanto inseguo sia un ideale eroico del comporre. Certo, coloro a cui tocca il compito di occuparsi del nuovo, i traghettatori, dovrebbero vincolarsi alla sincerità di vita e d'ispirazione. L'entusiasmo di trovare è spesso ingannevole: l'invenzione bisogna conquistare. Non sono concesse esitazioni, né compromessi. Scomodo raggiungere e assumere su di sé la propria unicità creativa, quale e come essa sia. Ciò pone in conflitto con i propri piccoli interessi e con il mondo, almeno per me è così. Non si diviene artisti per piacere a sé stessi e agli altri, ma per spingersi a conoscere noi stessi e gli altri. Tutto questo ha nomi: autosuperamento, coscienza. Il dovere, il piacere della scoperta ci rinnova: null'altro. E' allora che la libertà di pensiero ci può guidare.