Il clima dopo Harry Partch per pianoforte e orchestra |
Instruments: | pf solo / 4.2.4.3. / 4.3.3.-. / perc (4 esec.) 2a cel / archi (min. 12.10.8.6.6.) | |
Composition year: | 1999-2000 | |
(c): | Ricordi 2000 | |
Catalogue number: | 138329 | |
Manuscripts and printed documents kept at the Paul Sacher Foundation in Basel> | ||
First performance: | 08.11.2000, Paris, Festival d'Automne - Nicholas Hodges pianoforte, Bamberger Symphoniker, Jonathan Nott direttore | |
Duration: | 14' | |
1. Un progenitore da scoprire
Per anni il nome di Harry Partch, rimosso tra i musicisti, ha passato di poco la soglia di qualche università americana. Le opere di questo compositore risultano drasticamente limitate nella loro diffusione, poiché egli non utilizza tanto gli strumenti nobili delle orchestre sinfoniche, quanto prototipi di nuova invenzione e costruzione; ma tale motivo a me pare troppo ovvio per giustificare la totale censura che ha colpito Partch.
Di fatto la figura di un artista vagabondo non può lasciare indifferenti. Dovremmo immaginarlo come uno di quegli esseri abbrutiti che per strada cerchiamo di evitare? La nostra sicurezza borghese si sente offesa e messa in discussione di fronte a un personaggio così estremo; pazzo o asceta che fosse. Partch ha pagato nella propria carne e non con le parole. In un certo senso, egli aveva vomitato sui salotti degli intellettuali, ancor prima che Cage li conquistasse con una divina ebetudine.
La musica di Partch non assomiglia a nulla. Viene sorretta da un preponderante apparato teorico (per intonare gli strumenti), fra kitsch e accademismo neogreco. Agli antichi greci riporta pure la voce declamata in posizione dominante. E non si può ignorare la familiarità di Partch con l'oriente, tipica della west-coast.
Insomma, una complessa miscela esplosiva. Ne esce una sbornia di sbavature microtonali, ancora più evidenti perché agiscono su articolazioni elementari, forse folk, forse ironica memoria del canto infantile.
Ascoltare Harry Partch non è gradevole, spesso mette addosso una tristezza disumana, intransigente come il rifiuto che d'un tratto ha disperso la sua vita nei sottopassaggi puzzolenti.
2. Il clima nel pianeta cultura
Abitualmente pensiamo che per lasciare un segno nella storia della musica bisogna giungere alla piena notorietà.
Chissà se invece non valga il cosiddetto "effetto farfalla" anche nell'atmosfera artistica, se cioè le presenze marginali, trasversali, dimenticate, non abbiano realmente un'influenza sottovalutata o comunque superiore a ciò che si crede. Questo tipo di influenza non sarebbe misurabile direttamente sulla società contemporanea, piuttosto da una non comune prospettiva temporale e ambientale assai dilatata.
Dovremmo ipotizzare l'esistenza di una meteorologia creativa.
Musil, del resto, accenna a una "legge della conservazione dello spirito": come se la cultura fosse soggetta alle regole della fisica e della chimica.
3. Inquadrature su elementi fluidi
Amo una musica protesa verso l'estremo. Non fanno per me i codici della buona educazione, che servono a scovare consenso e anestesia.
Occorre una messa a nudo di ciascuno di noi: del compositore e del mondo. Tale disposizione alla propria verità è il punto di rottura necessario all'artista.
La problematicità dei temi (oscuro, dolore, enigma) precede l'estetica perché costituisce la vita del pensiero. Le forme delle mie composizioni implicano anche il concetto di natura postorganica, comune ad alcuni fenomeni apparentemente distanti quali la body art o il piercing. Ho sempre rigettato l'ipocrisia accademica della musica pura, delle sublimità banali e a buon mercato. Preferisco il riaffiorare della propria fisiologia nel vuoto o tra le macchine dell'era tecnologica.
Con la "forma a finestra" l'immagine sonora può venire sottratta in percentuale variabile alla percezione di chi ascolta.
Ho realizzato qui una finestratura più ampia del solito. Grumi sonori piovono dall'alto, la loro generazione avviene altrove, fuori dei limiti di campo. Poi scendono e scompaiono fuori del limite inferiore.
Intuiamo che questa musica ribolle, lo intuiamo dalle zone ai margini dell'immagine, senza esserne diretti spettatori. Le perturbazioni avvengono forse oltre i margini.
Anche il tempo ha margini, prima e dopo l'immagine, a sinistra e a destra; essi vengono marcati da eventi-shock o nitidamente tagliati.
Dentro fenditure rettangolari l'immagine sonora non ha decorso, tuttavia è superesaltata dall'essere mutila. Le fenditure si giustappongono creando legami sfuggenti, che ci rendono incerti sulla identità delle immagini, come a causa di lievi successivi spostamenti d'inquadratura.
In altre parole, il comportamento chiave della forma si riassumerebbe così: evitare la prospettiva frontale in favore dello scorcio. Ci si potrebbe riferire all'estetica barocca, sebbene qui di barocco non ci sia proprio nulla, anzi. Una tecnica delle apparizioni-flash, che si serve soprattutto del sottrarre. Il meno si rovescia in più, e l'espressione è quella del tacere.
Che una musica nuova debba procurare immediato piacere (inteso come gradevolezza) è illusione assai diffusa e infondata, di cui il mondo commerciale s'appropria. Basta però che rientriamo in noi un istante, per zittire ogni inutile sirena. La realtà è un'altra. Primo viene il dolore a formare l'esperienza della vita e dello stesso piacere. Pure la conoscenza, quando ormai è solidificata, nutre l'ignoranza se non si rinnova.
Siccome inconsapevolmente resistiamo all'aprirsi della mente, dovremmo meglio badare a non respingere ciò che man mano appare ignoto.
Chi la possiede sa quanto l'immaginazione sia dirompente. Essa non si contenta di ciò che è già, ma avanza in ciò che a tutti sembra solo possibile o addirittura inverosimile.
(2000)