Il quartetto di sassofoni è una formazione incredibilmente omogenea fra tutte e duttile, nata oltre cent'anni fa, tuttavia di rado impiegata al di fuori del jazz e dunque ancora da esplorare.
Dalla scuola francese, recentemente è fiorita una scuola italiana di sassofono e la qualità tecnica degli strumentisti si è molto alzata. Nel frattempo in tutta Europa ha cominciato a costituirsi un repertorio cameristico originale intorno ai vari organici possibili con tale strumento. Io stesso ho scritto La bocca, i piedi, il suono, lavoro di ampie proporzioni destinato a una compagine inconsueta, ovvero: quattro sassofoni contralti solisti più, ad libitum, cento sassofoni in movimento, di ogni taglia.
È stata proprio la difficoltà di mettere insieme qualcos'altro con questa composizione ad avvertirmi di una certa mancanza d'identità di cui soffre il quartetto di sax, non potendo attingere, al pari di qualsiasi altro strumento, a un proprio repertorio anteriore al romanticismo. Perciò ho voluto portare un contributo vero a risolvere il problema del repertorio, a parer mio centrale, e ho pensato non tanto a singole composizioni, bensì a cicli. Per l'esattezza ho concepito due metà di programma, cui ho incluso alcuni brani con funzione di bis. Questi mezzi-concerti mi sembrano ideali da accostare a piacere una metà contemporanea, sia mista, sia unitaria.
La prima proposta si chiama Pagine, un'antologia aperta su secoli e generi diversi. Monografica la seconda: Canzoniere da Scarlatti, omaggio a un artista troppo malnoto rispetto alla generosità che ci riserva.
Nell'assortire i pezzi ho evitato gli aspetti stereotipi, anzi ho puntato verso l'inesauribile modernità degli antichi maestri, cosa che oggi va di moda ignorare sfacciatamente.
Mentre per condurre Bach entro il quartetto di sax bastano semplici adattamenti (già praticati da numerosi gruppi), per gli altri autori ho dovuto ingegnarmi e sempre tendere a un suono globale non fisso, cangiante anche a costo di una certa difficoltà esecutiva.
In Gesualdo ho chirurgicamente ridotto il numero delle voci da 5 a 4, però senza perdere la simmetria delle imitazioni canoniche. Ugualmente per Mozart ho preferito inseguire uno stile ineccepibile, come se la trascrizione fosse destinata a un quartetto d'archi.
Cole Porter a sua volta, per stare vicino a Mozart, viene spogliato e raffreddato, in modo che risalti quasi soltanto il superbo arco melodico e la perfezione formale.
Le due cacce anonime dell'Ars Nova fanno da spunto per trattamenti radicali: inavvertibili interferenze timbriche la prima, irrompere di suoni tra loro disparati, perfino percussivi, la seconda, così traducendo quanto elencava il testo cantato nell'originale.
Gershwin, un musicista dalla doppia anima, fa occhiolino all'espressionismo, ma è spazio ibrido alle evocazioni (il contrabbasso pizzicato, per esempio, vecchio compagno dei sax nelle band all'americana).
Scarlatti infine. Ha richiesto una strategia a sé, ambivalente: decisamente novecentesca come gusto pur se i criteri distributivi e l'equilibrio delle parti risultano di un classicismo distillato.
Non ho la pretesa d'aver detto tutto e lascio posto per gli amici, alle cui nozze col sassofono la mia fatica è dedicata.
(1998)