Il titolo è di quelli che si spiegano da sé, che attraverso un concetto indicano una poetica ma anche il percorso formale dell'opera.
Un titolo ideale, sebbene parrebbe appartenere più a un saggio filosofico.
Non ho dunque tanto da aggiungere.
Può un fruscio essere possente?
Mi viene in mente un passo esemplare della Bibbia: tutti gli amici della musica contemporanea dovrebbero conoscerlo.
Elia fugge nel deserto e attende d'incontrare Dio.
Passa un vento che spacca i monti, ma Dio non è nel vento. Si scatena un terremoto, ma Dio non è nel terremoto. Arde un gran fuoco, ma Dio non è nel fuoco. Ed ecco il mormorio di una brezza leggera. Appena l'ode, Elia si copre il volto con il mantello.
Non sono credente, e il mio orecchio ha ascoltato cose incredibili; nella notte di Pantelleria, l'attrito di pochi granelli di sabbia, portati da una brezza senza voce.
Prefazione alla partitura
L'ossessione della trasformazione e l'ossessione della somiglianza
sono legate, anzi una richiama l'altra.
Non serve qui schivare la lentezza; oltre certi limiti si rovesciano gli opposti e sarà proprio la staticità a produrre tensioni, il nostro cuore a
produrre il ritmo.
Così, i colpi d'arma (non solo echi di una realtà violenta) vengono imposti da un'esigenza fonica e costruttiva di contrappeso più che di sproporzione. Infatti quando l'orecchio si affina verso le soglie dell'impercettibile, allora lo stesso silenzio sembra esplodere.
Le dinamiche di quest'opera non devono essere normalizzate né alzate quel tanto che ne renda distinguibili i suoni, i loro contorni; al contrario, bisognerà contenerle in un eccesso di impercettibile pianissimo (come, dall'altra parte dell'eccesso, non si potrebbe comprimere gli
impercettibili fortissimi).
Acuire dunque la percezione di chi suona e di chi ascolta. Giungere a confondere suono e silenzio, suscitare l'incertezza metafisica.
A Peter Eötvös.
(1995)