È una parola, vanità, che usiamo abitualmente. Eppure ne abbiamo perduto il senso. A stento la riconosciamo come la parola stessa dell'antico Ecclesiaste. E il dizionario latino, al quale non abbiamo più consuetudine, ci sorprende: vanitas vuol dire vuoto. Con questa parola poi si è definito un genere di pittura seicentesco di intensa carica allegorica. Tale genere suggeriva lo scorrere del tempo e la caducità delle cose. In Italia diciamo anche "natura morta".
Vanitas inaugurò nel dicembre 1981 la Stagione alla Piccola Scala di Milano. Sebbene discosta dalla comune cognizione musicale e teatrale, venne presentata come una normale opera, e con tutti gli apparati affidata all'opulenza registica. Ma paradossalmente Vanitas è un Lied. Ne possiede l'intimità espressiva ne contiene le stilizzazioni e le movenze. Come nei sogni però, le proporzioni non sono le stesse. Nella nostra tradizione un Lied per canto e pianoforte è piccola cosa. Pur nel nitore miniato che tutto rispecchia dell'universo, le dimensioni scelte da un Lied lo assimilano a un foglio d'album. Vanitas è dunque un Lied di proporzioni mai udite. Si dilatano le maglie del tempo. Allora la musica s'apre spontaneamente ad accogliere sottolineature ambientali. In tal senso, che è quello originario, Vanitas è anche un'ipotesi di teatro povero. Poiché nella dilatazione allucinatoria del tempo la musica viene così spazializzata da non sopportare altra messa in scena della propria nudità.
[...] Immaginate una musica dal tessuto così largo al punto da lasciare trasparire un'altra musica: questa è Vanitas, una gigantesca anamorfosi di una vecchia canzone, della quale conserva in modo misterioso un profumo intenso.
· AA.VV., Salvatore Sciarrino. Vanitas -Kulturgeschichtliche Hintergründe, Kontexte, Traditionen, Hofheim, Wolke Verlag, 2018, pp. 224, ISBN 978-3-95593-079-0, in German, editor Sabine Ehrmann-Herfort.
· Paolo SOMIGLI, '“Vanitas” e la drammaturgia musicale di Salvatore Sciarrino', in «Il Saggiatore musicale», XV n. 2, 2008, pp. 237-267.